The train shakes on. It goes fast, up and down, makes ears pop and drives butterflies into my stomach like a chute-the-chute. It violently slows down, stops, opens its doors. In come two couples. Italian couples. For reasons entirely outside the scope of these chronicles, I automatically cheer when hearing Italian. Because no language is more beautiful. Because no people is more emotionally ardent. The couples stop at perfect eavesdropping distance. They’re in the beginning of their thirties. Judging on their accent, they’re from the North.
Around Bedford Avenue the lively tone of their conversation changes into something dark.
“Mah. Si vede bene che non siamo più a Manhattan”, the shortest woman, pigtail, heavyset in a black down jacket, says.
“Ma perché?”, her husband or boyfriend, almost bald with a more intelligent aura, informs.
“Guarda che gente che sta entrando.”
“Oddio si”, the short woman’s somewhat taller friend, wife of a perfectly groomed silent lover, affirms.
There’s a brief silence. Maybe things will get better now. But no.
“Non capisco. Chissa perché mettono i loro messaggi in Spagnolo”, the tall woman says with noticeable contempt, pointing at the ads on the ceiling.
“In fatti. Non si mica parla più Inglese negli Stati Uniti?”, the short and fat one adds to the deprecation.
The balding man, having had to curb his reactions up til now, cannot hold it any longer. “Ma no”, he tries to explain, “una gran parte della popolazione parla Spagnolo qua. È così a Los Angeles. Ma anche qui à New York.”
“Si, certo”, his wife with the pigtail says with a large degree of dedain and mockery, intently looking away from him, “quindi dici che si parla Spagnolo negli Stati Uniti?”
“Davvero, il quindici percento parla Spagnolo a New York.” It’s actually twenty percent, but the man’s easily forgiven. His intentions are good.
“Tipico. Vengono qua e presumono che gli altri si adattiano a loro”, the tall woman says, “ovunque la stessa storia.”
“Mannaggia”, the small one affirms, still without looking at her husband, punishing him for his disobedience, “è grave.”
“Si”, her girlfriend affirms.
“Secondo me Parigi è il peggio”, this is the first time the man of the second couple speaks. Which is not a good thing.
“No, Roma!”, his wife protests. Italian women always know better.
“Ma perché peggio?”, the balding man – still the good guy – asks.
“Gentaglia”, his friend responds as though his answer is as redundant as spaghetti.
“Dappertutto gentaglia”, his girlfriend concludes.
The train slows down and the Italians finish their conversation surrounded by unknowing black mothers with children, Mexicans and Puerto Ricans men and women visibly tired from work. The doors open. I leave with the latter. The homeless, spread along the concrete floor in the freezing station, have covered their faces for sleeping.
A translation is necessary now. Una traduzione è indispensabile ora. Read it out loud for maximum effect.
Tremando, il treno va avanti. Va veloce, su e giù, fa schioccare le orrecchie e mette le farfalle nello stomacho come uno scivolone sull’acqua. Violentemente rallenta, si ferma en entrano due coppie. Coppie italiane. Per ragioni al di fuori della portata di queste cronache, sentir parlare italiano mi rende subito allegro. Perché nessuna lingua è più bella. Perché nessun popolo è più emozionalmente focoso. Si fermano ad una distanza perfetta da origliare in segreto. Sono trentinni, e parlano col dialetto Lombardo.
Intorno alla stazione di Bedford, il tono vivace della loro conversazione cambia in una cosa più nera.
“Look at that. We’re clearly not in Manhattan anymore”, quella più bassa, treccia, gonfiata dal suo piumino nero, dice.
“Why?”, suo marito o fidanzato, quasi calvo coll’aura un po’ più intelligente, si informa.
“Look at the kind of people coming into the wagon.”
“Oh my god, yes”, la sua amica un po’ più alta, moglie di un amante silenzioso perfettamente preparato, afferma.
Un breve silenzio. Forse le cose andranno meglio ora. Ma no.
“I don’t understand. Who knows why they put up ads in Spanish?”, dice l’alta con disprezzo visibile, indicando gli annunci sul soffito del carro.
“Exactly. Don’t we speak English in the United States anymore?”, la bassa aggiunge alla deprecazione.
Il quasi calvo, avendo avuto frenare le sue reazioni fino a ora, non puo più controllarsi. “No”, prova di spiegare, “a large proportion of the population speaks Spanish here. It’s like that in Los Angeles. It’s the same here in New York.”
“Yes sure”, sua moglie dice con ampio scherno, facendosi beffa di lui, intentamente guardando lontano da lui, “so now you’re claiming people speak Spanish in the United States?”
“Really, in New York fifteen percent of the population speaks Spanish.” In realtà è il venti percento, ma il buono è facilmente perdonato. Le sue intenzioni sono buone.
“Typical. They come here and expect the others to adapt to them”, la più alta dice, “everywhere the same story.”
“Fuck”, la più bassa esprime, ancora senza dare più neanche un’occhiata al suo marito, punizione per la sua disobbedienza, “that’s bad.”
“Yes”, sua amica afferma.
“According to me Paris is the worst”, è la prima volta che l’uomo della seconda coppia parla. Ma sarebbe meglio se tacesse.
“No, Rome!”, sua moglie o fidanzata intromette. Donne italiane sempre sanno meglio.
“But why bad?”, il calvo – è proprio il solo buono in questa situazione – chiede.
“Scum”, suo amico risponde, come se la sua risposta fosse ridondante come gli spaghetti.
“Scum everywhere”, sua moglie dice.
Il treno rallenta e gli italiani finiscono il loro scambio circondati da ignare madri nere con bambini, messicani e portoricani stanchi dal lavoro. Le porte si aprono e me ne vado con quest’ultimi. I senzatetti, dispersi lungo il pavimento nella stazione congelanda, hanno coperto i loro volti per dormire.
There is no moral goodness in beauty. Non c’è bontà morale in bellezza.
To be continued…
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